Agricoltura tradizionale
La varietà “Mais scagliolo” di Carenno
La Comunità Montana Lario Orientale Valle San Martino ha dato sostegno e forma a un progetto, promosso dall’Associazione Agricoltori Val San Martino, volto alla reintroduzione e valorizzazione “in situ” della varietà di mais scagliolo di Carenno, con l’obbiettivo di riportare la semente proprio nei luoghi d’origine, ovvero Carenno e dintorni. Il territorio da cui trae origine questo progetto è individuabile nei dintorni di Carenno un comune che si sviluppa ad un’altitudine media di 800 metri s.l.m, con una popolazione di 1.459 abitanti al censimento del 2004. Qui l’agricoltura ha storicamente rivestito un importante ruolo nell’economia locale: la viticoltura, ad esempio, ha occupato un posto di rilievo fino al Seicento, per poi progressivamente scomparire; grano e granturco costituivano altre importanti fonti di reddito, ma è soprattutto il castagno ad aver a lungo fornito il sostentamento per le popolazioni locali. Non si deve poi dimenticare lo stretto legame degli abitanti della zona in merito alle attività costruttive qual i quelle muratoriali: ampia e documentata tradizione in tal senso ha segnato profondamente l’attività e la vita di questi luoghi.
Indubbio elemento agroalimentare distintivo del paese, è rappresentato anche dalla varietà tradizionale di mais da polenta denominata Scagliolo di Carenno (VA 1210 ), conservato presso la banca del germoplasma del CREA Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo. A Carenno e nella Comunità Montana, oltre a idonee condizioni stazionali (altitudine, tipo di terreno e relativa vicinanza), è presente l’Associazione agricoltori Valle San Martino che da alcuni anni, prima come singoli, e da poco come gruppo, sta orientando la propria attività sulla selezione e la diffusione di varietà di cereali e ortaggi che abbiano proprio caratteristiche degli agro-biotipi tradizionali.
Spiegazione di come la varietà possa essere definita varietà tradizionalmente coltivata, minacciata da erosione genetica, ed ecotipo naturalmente adattato alle condizioni locali.
L´agrobiodiversità è essenzialmente legata agli agroecosistemi, cioè agli ecosistemi naturali modificati dall'uomo al fine di renderli produttivi attraverso l´agricoltura. La traduzione italiana del termine inglese agrobiodiversity modifica, leggermente ma in modo determinante, il significato: in inglese “diverse” significa vario, molteplice, mentre in italiano “diverso” ha ancora una connotazione negativa, poiché indica qualcosa che differisce da uno standard di riferimento, da una specie o varietà comunemente riconosciuta come adatta alla coltivazione intensiva o adatta per una commercializzazione nella grande distribuzione. Il processo di domesticazione delle specie vegetali, ha comportato nel tempo una riduzione del numero di specie usate dall’uomo, ma l’agricoltura (intendendo con questo termine l’insieme delle tecniche agricole e delle tradizioni culturali che le hanno prodotte) ha aumentato la diversità all’interno della stessa specie.
Questo processo dinamico è stato semplificato dai processi connessi all’agricoltura nei paesi industrializzati, condizione che ha determinato una diminuzione generale del numero di specie coltivate e parallelamente una diminuzione della variabilità all’interno della stessa specie (Frankel et al., 1995). La biodiversità, sia vegetale che animale può essere vista anche come processo evolutivo e di relazione fra diversità ambientali e culturali che producono una grande diversità di prodotti agricoli connessi a un territorio specifico. In questo senso salvare la biodiversità significa salvare un patrimonio genetico, economico, sociale e culturale di straordinario valore, fatto di eredità contadine e artigiane non sempre scritte ma ricche e complesse.
La scomparsa di varietà o di razze invece significa purtroppo la rinuncia a saperi informali legati al territorio e alla cultura dell'uomo che ha saputo selezionare nel tempo questo variegato insieme di sapori e saperi. Il sistema tradizionale più applicato per conservare le risorse genetiche delle piante erbacee coltivate è chiamato ex situ, ossia effettuato al di fuori dell'ambiente naturale della specie. Piccoli campioni di seme di varietà locali e/o di specie selvatiche evolutivamente legate alla specie agraria, sono raccolti, descritti, catalogati e conservati in opportune condizioni anche per decine di anni, proprio come fatto dall’Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo (CREA-MAC). Quando si vogliono mantenere, oltre alla diversità genetica, anche i meccanismi evolutivi delle specie coltivate, i sistemi colturali e le forme di utilizzazione tradizionali, è opportuna l'integrazione di attività di conservazione ex situ ed in sit u, che per le specie agrarie è anche detta on farm. Per una buona riuscita delle pratiche di conservazione on farm è necessario che vi sia la piena collaborazione di agricoltori competenti o disposti ad acquisire le conoscenze per la riproduzione degli agro -biotipi tradizionali.
Tutto ciò deve essere oggigiorno supportato da un interesse territoriale da parte di Enti locali (Comunità Montane, Parchi, Comuni…) che sappiano coniugare prospettive di reddito per produzioni di nicchia ottenute con modalità tradizionali. Il Mais scagliolo di Carenno è un classico esempio, tra i molti che si potrebbero citare, di varietà locali coltivate fino agli anni 50 – 60 e poi soppiantate (determinando addirittura a volte la scomparsa) dall’avvento dei moderni “ibridi” più performanti in termini di rese produttive, destinati non più all’alimentazione umana ma utilizzati come base per la razione alimentare zootecnica, da cui poi a sua volta ricavare carne, latte e derivati per sfamare le popolazioni in crescita nel dopoguerra. Per fortuna alcune di queste varietà si sono conservate grazie al prelievo e alla conservazione dei semi, effettuata in certi casi dagli stessi contadini che, con paziente ed attenta cura, hanno scelto e modificato i genotipi più interessanti; altre volte è avvenuta per l’intervento di soggetti istituzionali o centri di ricerca.
Interesse per la conservazione delle risorse fitogenetiche
Sulla base di tali concetti si sono avviati quindi i primi passi di sperimentazione grazie all’interesse dell’Associazione Agricoltori Valle San Martino che ha sede a Monte Marenzo (LC) in Via Stoppani 36, a cui aderiscono, alla data attuale circa quindici agricoltori che hanno produzioni aziendali diversificate tra loro: ortaggi, cereali minori (grano saraceno, farro, segale, orzo, avena, mais scagliolo), formaggio, castagne, legna e carne bovina. L’interesse per la conservazione di tale varietà è manifestata non solo dai produttori ma anche dalla Comunità Montana individuando un processo di selezione e conservazione partecipato in grado di determinare ricadute positive per tutta la filiera dai produttori agricoli, ai trasformatori fino agli acquirenti e consumatori finali, locali e diffusi.In particolare sono state avviate azioni di sostegno e collaborazione tra la Comunità Montana, L’Associazione agricoltori e il CREA con l’obbiettivo generale di conservare e riprodurre sul territorio le risorse genetiche autoctone di mais da polenta (varietà Scagliolo di Carenno VA1210) sottoutilizzate e minacciate da erosione, individuando un processo di selezione e conservazione partecipato in grado di determinare ricadute positive per tutta la filiera dai produttori agricoli, ai trasformatori fino agli acquirenti finali, locali e diffusi.
Descrizione della varietà risultante da valutazioni ufficiali, non ufficiali o da conoscenze acquisite con l'esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l'impiego.
Distinguibilità, omogeneità e stabilità (DHS)
Il granoturco detto scagliolo è una popolazione di mais a libera impollinazione e deriva da un miscuglio di diverse varietà tradizionali nelle quali predomina la cariosside lunga a corona rotonda, inserita su tutolo sottile come appare dalla descrizioni riportata da Zapparoli (1939c). Da questo materiale sottoposto a selezione genealogica, con ripetute selezioni ed incroci tra le migliori stirpi, trae origine nel 1929 lo Scagliolo dal nome della massa di materiale selezionato e riprodotto con interincrocio. Durante la selezione furono presi in considerazione i seguenti caratteri: ideotipo della pianta, precocità di ciclo, e qualità della granella. La semente ottenuta fu seminata in due aziende bergamasche. Durante la coltivazione si notò una notevole sanità del fogliame e del vigore vegetativo. Inoltre, alla raccolta, rispetto agli scaglioli coltivati nelle vicinanze, si notò subito un anticipo della maturazione: molte piante presentavano una seconda spiga e rese granellari molto buone. Le spighe mostravano granella priva di macchie gialle sulla corona, completamente vitrea, lunga e fine. Successivamente la nuova varietà venne introdotta in diverse zone irrigue della Lombardia e di altre regioni italiane. La coltivazione è attualmente ancora diffusa in Italia settentrionale.
Come tutti gli scaglioli, lo Scagliolo di Carenno presenta uno sviluppo con un’altezza della pianta di oltre due metri e inserzione della spiga sui 125-130 cm. Il suo sviluppo, come tutte le varietà tradizionali di mais, è legato alla fertilità del terreno, all’epoca di semina, alla densità d’investimento e dal primo intervento irriguo. Le radici sono abbondanti, il culmo non molto grosso, elastico, un po’ sensibile al carbone, tollerante alla piralide. Fiorisce alla fine di giugno-primi di luglio per le semine praticate in aprile; nella seconda quindicina di luglio per le semine effettuate in maggio. La spiga si presenta subconica con variazioni da 15 a 22 cm in lunghezza e 4-5 cm di diametro mediano; il numero di ranghi varia da 16 a 24. Il tutolo è sottile (2,4-2,8 cm) di colore bianco esternamente, bianco grigiastro all’interno.
La granella è lunga da 8 a 12 mm, larga mm 5-7 e spessa mm 3-4; la corona è rotonda, lo scutello è ben sviluppato. Sulla spiga le cariossidi sono serrate con una leggera carenatura sulla corona. La granella mostra un bel colore giallo intenso e arancio, lucido, con frattura vitrea, quasi trasparente; la resa della molitura è elevata (circa 55-60%). Lo Scagliolo è compreso nel gruppo dei mais maggenghi; seminato in aprile o ai primi di maggio è pronto per la raccolta nella seconda metà di settembre. Il suo ciclo vegetativo si svolge e si conclude in circa 145-155 giorni; la coltivazione avviene in terreni fertili, ben letamati e arricchiti con concimazioni minerali. La varietà Scagliolo di Carenno si distingue dal punto di vista fenotipico da altre varietà tradizionali, come i Rostrati di Rovetta, Gandino e Valle Camonica, ancora coltivate o reintrodotte recentemente nei territori dei comuni omonimi e aree limitrofe. Benchè tutte siano varietà vitree o semivitree di mais, lo Scagliolo di Carenno si distingue facilmente dalle altre varietà per via della pigmentazione delle cariossidi giallo intenso arancione e presenta una corona della carioasside con leggera carenatura e non un ‘rostro’ o ‘spino’ tipico dei mais rostrati. Relativamente alla distinguibilità, omogeneità e stabilità (DHS) dei caratteri morfologici della variatà Scagliolo di Carenno si allega la Scheda tecnica descrittiva UPOV TG/27 secondo le linee guida dell’Unione internazionale per la protezione delle novità vegetali (UPOV), elencate nell’allegato II della direttiva 2003/90/CE, per le specie agrarie, e nell’allegato OO della direttiva 2003/91/CE, per le specie ortive (reperibili sul sito w ww.u p o v.int ). In alternativa possono essere presi in considerazione i protocolli d’esame dell’Ufficio Comunitario delle varietà vegetali, elencati, nell’allegato I della direttiva 2003/90/CE, per le specie agrarie in questione, e nell’allegato I della direttiva 2003/91/CE, per le specie ortive in questione, (reperibili sul sito ww w.cp vo . eu .int ).
Zona di origine della varietà (come definita all’art. 8 del decreto legislativo n. 149/2009)
Circa 240 grammi di seme fu quindi fornito dal CREA nel 2009 all’associazione Agricoltori Valle san Martino per una semina volta ad avviare il percorso di conservazione. Gli agricoltori che si sono offerti come custodi sono stati individuati nell’Associazione agricoltori Val San Martino, con sede nel Comune di Monte Marenzo, al cui interno si sono specializzate per tale attività di conservazione in situ le seguenti aziende agricole:
- azienda agricola Cattaneo Pierluigi, di Cisano Bergamasco (BG)
- azienda agricola Baracchetti Adelio di Monte Marenzo (LC)
- azienda agricola Turrisi Stefano di Torre dè Busi (LC)
Il primo lotto riproduttivo, da cui sono stati ricavati pochi kg di granella il primo anno, ha rappresentato la base per l’analisi della coltivazione in rapporto con l'agroecosistema, adottando un protocollo di conservazione “in situ” supportato da un percorso di ricerca impostato su base poliennale con la valutazione del materiale vegetale ritenuto di maggiore interesse. La zona di origine della varietà è collegata ed individuata nel Comune di Carenno, da cui fu prelevato nell’anno 1988 il campione “VA 1210” (Numero accessione varietà), inserito poi nella banca del germoplasma dell’istituto cerealicolo di Bergamo, struttura presso la quale rimane sempre la conservazione e moltiplicazione in purezza del nucleo di fondazione dello Scagliolo di Carenno.
Notizie documentate di carattere storico e culturale volte a dimostrare il legame tradizionale tra la coltivazione d ella varietà da conservazione e l’ambito locale individuato.
Comune di mezza montagna posto fra un’altitudine minima di 635 m. e massima di 1432 m. s.l.m., esteso 2.227,8 kmq ed abitato da 1.459 abitanti (fonte ISTAT 2004), in un’interessante scenografia paesaggistica, Carenno (dalla voce prelatina “Kar” che indica un luogo sassoso) rende possibili brevi escursioni di carattere naturalistico, conserva luoghi in cui si respira ancora l’aria di una realtà contadina e montana di un tempo.
Borgo di origine medievale arroccato intorno alla vecchia parrocchiale dei Santi Pietro e Biagio e alla torre detta di Tuzzano Rota, reso celebre dalle illustri figure del patriota Gabriele Rosa, del botanico Lorenzo Rota, del sacerdote e giornalista Davide Albertario e del filosofo metafisico Gustavo Bontadini, è collocato sull’orlo di un ampio terrazzo posto a vista sull’Adda.
Importante è l’Oratorio di San Domenico con pitture raffiguranti scene vicine alla danza macabra ed interessante risulta la località di Colle di Sogno, un compatto nucleo di edifici rustici abbarbicato sul crinale della montagna a quasi mille metri di altitudine. Il Museo Ca’ Martì documenta la storia, la memoria, la vita e il lavoro dei muratori di Carenno e della Val San Martino tra Ottocento e Novecento, ben testimoniato dall’imponente nuova chiesa parrocchiale dell’Immacolata principiata nel 1911, e ad esso è collegato un percorso che conduce ai luoghi e ai segni legati al lavoro dei muratori (edifici, nuclei, cave). L’agricoltura ha storicamente rivestito un importante ruolo nell’economia locale: la viticoltura, ad esempio, ha occupato un posto di rilievo fino agli inizi del Novecento, per poi progressivamente scomparire; grano e granturco costituivano altre importanti fonti di reddito, ma è soprattutto il mais ad aver a lungo fornito il sostentamento per le popolazioni locali. Diffusa è stata anche la cultura del gelso per alimentare il baco da seta e la pastorizia, connessa alla produzione di lana. Non si deve poi dimenticare lo stretto legame degli abitanti della zona in merito alle attività costruttive e della lavorazione della pietra: un’ampia e documentata tradizione in tal senso ha segnato profondamente l’attività e la vita di questi luoghi. Infine, i boschi hanno garantito la produzione di legna e carbone per lungo tempo: caratteristica è l’antica modalità di trasporto a valle dei materiali, che prevedeva l’utilizzo di corde di canapa di seta o metalli fissate a delle ceppaie, a valle, avvolta su di una sorta di tamburo ricavato da grossi tronchi. Un’indagine del 1808 cita esplicitamente le due coltivazioni principali: dovunque si indicano prioritariamente il grano e il mais, in secondo luogo la vite ed i gelsi per la foglia che dava nutrimento ai bachi. Nel 1833 l’ingegnere bergamasco Giovanni Battista Crippa, su incarico del governo austriaco del Regno Lombardo-Veneto, descriveva la realtà economica della Valle San Martino (di cui Carenno ha sempre fatto parte) nelle sue “Notizie statistiche agrarie sulla Provincia di Bergamo”; eccone alcuni interessanti stralci:
«Nella maggior parte è montuoso, parte a colle e parte a piano; e questo Distretto forma la Valle di S. Martino. È uno dei più ben coltivati della Provincia e la coltivazione della vite è molto estesa e diligentata, essendovi principalmente abbondanza di ronchi e di vigne nella parte che confina col lago di Lecco e di Brivio. Il terreno è tutto coltivato a vanga ma vi sono in alto dei Comuni soltanto a prato, boschi e pascoli , con monti assai erti che si attaccano a quelli della Valdimagna ed a quelli di Lecco. La ruotazione agraria è biennale, cioè un anno a frumento e l’altro a granoturco; vi sono delle colonìe (benché molti fondi si coltivino a mano propria) estese dalle pert. 25 alle 35 circa di Bergamo ed è in uso la mezzadria, dividendosi a metà il granoturco, il frumento e l’uva; la semente del formento a metà; oltre però la metà dell’uva il padrone ha la decima che preleva dal mucchio totale. I prati si tengono per economia e parte si affittano anche a danaro, non essendovi malghe. I boschi si utilizzano a legna che, oltre gli usi della vita, si consuma nelle filande da seta. I gelsi, nella poca parte in piano ed al colle, sono ben tenuti ed anche numerosi; così pure la stessa diligenza di coltivazione si usa nella parte in colle alto ed in monte; ma vi sono in poca quantità, tanto per il clima che per la poca attitudine del fondo. La popolazione è molto numerosa, né essendovi industrie estranee all’agricoltura, primeggia, come si è detto, in diligenza in essa e così pure fa gran conto dell’allevamento dei bigatti [bozzoli]».
Zona o zone di produzione delle sementi (come definite dall’art. 11 del decreto legislativo n.149/2009)
Coerentemente con l’individuazione storica della zona di origine, anche la zona di produzione delle sementi è stata individuata nel territorio dell’attuale Comunità Montana, composto da comuni che ricadono sia nella provincia di Lecco sia in misura limitata anche in quella di Bergamo. In particolare è stato individuato l’areale dei Comuni della “ex Valle San Martino” il luogo eletto per la conservazione e riproduzione della semente, da eseguirsi nei seguenti territori comunali:
- Calolziocorte (Lc)
- Caprino Bergamasco (Bg)
- Carenno (Lc)
- Cisano Bergamasco (Bg)
- Erve (Lc)
- Monte Marenzo (Lc)
- Pontida (Bg)
- Torre De' Busi (Lc)
- Vercurago (Lc)
Qui hanno sede le aziende agricole socie dell’Associazione agricoltori Valle San Martino che si sono offerte per divenire custodi riproduttori del Mais scagliolo, riportando il seme nell'areale di provenienza più antica che si ricordi.
Superficie della zona di origine nella quale viene effettuata la produzione delle sementi e superficie di coltivazione sulla quale si intende realizzare la produzione.
Nella zona di origine per la produzione di sementi la superficie al momento impiegata per la conservazione ammonta a circa 7.000/8.000 metri quadrati per una produzione di sementi selezionate, stimata di circa 7/8 quintali.
Le superfici potenziali di coltivazione per la produzione di granella della varietà tadizionale dello Scagliolo di Carenno, in rapporto alla quantità di semente di circa 2,5 chilogrammi di semente ogni 1.000 metri quadrati, possono essere stimate in circa 30/32 ettari complessivi nei diversi Comuni che partecipano a questo progetto culturale e colturale di valorizzazione del territorio della Comunità Montana Lario Orientale - Valle San Martino.
Specificare il quantitativo di sementi annualmente prodotte nella zona/e di origine.
Nonostante le annate scorse non sempre sono state favorevoli alla coltivazione del mais per via della prolungata siccità estiva, dai campi in isolamento degli Agricoltori Custodi sono stati ottenuti circa 150 kg di semente selezioanta e omogenea, con i caratteri tipici della variatà e adatta per altre coltivazioni. Questi quantitativi di sementi potranno permettere di ampliare la superficie dedicata alle coltivazioni sia per la produzione di sementi scelte, fino a circa 8.000/10.000 metri, sia per la produzione di granella per il consumo umano fino a circa 30/32 ettari complessivi nell’arco
degli anni futuri. Questa produzione ha in parte già suscitato contatti e interesse con vari soggetti della filiera: ristoratori, panificatori, pasticceri e gruppi di acquisto sono interessati e pronti a rispolverare antiche e tradizionali ricette, ma anche nuovi piatti a base di questo polivalente cereale senza glutine, ideando al contempo nuove preparazioni da commercializzare con un logo od un marchio identificativo.
Zona o zone di commercializzazione delle sementi (come definite dall’art. 13 del decreto legislativo n. 149/2009).
La diffusione del seme per la coltivazione del mais da destinare alla produzione ricade sul territorio evidenziato nella cartina allegata, corrispondendo in buona parte per il territorio della Comunità Montana ed includendo alcuni comuni esterni.
L’elenco completo è il seguente, un cui sono inclusi anche i comuni di riproduzione delle semente: Abbadia Lariana (Lc) Airuno (Lc) Ballabio (Lc) Brivio (Lc) Calolziocorte (Lc) Caprino Bergamasco (Bg) Carenno (Lc) Cesana Brianza (Lc) Cisano Bergamasco (Bg) Civate (Lc) Colle Brianza (Lc) Ello (Lc) Erve (Lc) Galbiate (Lc) Garlate (Lc) Lecco (Lc) Lierna (Lc) Malgrate (Lc) Mandello Del Lario (Lc) Monte Marenzo (Lc) Olginate (Lc) Oliveto Lario (Lc) Pescate (Lc) Pontida (Bg) Suello (Lc) Torre De' Busi (Lc) Valgreghentino (Lc) Valmadrera (Lc) Vercurago (Lc).
Occorre specificare che i tre comuni esterni della comunità montana, in corsivo nell’elenco, presentano zone vocate per
la coltivazione del mais, in particolare Lecco nella parte più montana del suo territorio.
Pratiche colturali normalmente adottate, con particolare riferimento agli investimenti unitari di sementi.
La tecnica di coltivazione adottata per la riproduzione del seme è definita in modo dettagliato nel disciplinare allegato, denominato “Disciplinare di produzione granella della varietà da conservazione Mais “Scagliolo Di Carenno”.
Tale documento contiene le indicazioni per la produzione di granella, la sua trasformazione in farina per l’impiego esclusivo nell’alimentazione umana e la preparazione di polenta, prodotti di panetteria e pasticceria.
L’operazione di semina potrà essere eseguita sia meccanicamente sia manualmente, con uno schema di semina di 70-75
cm nell’interfila e di 25-28 cm lungo la fila per ottenere un investimento finale di circa 4.5-5 piante metro quadrato. Le altre notizie approfondite nel disciplinare riguardano le seguenti voci:
Tecniche di coltivazione;
- Semina
- Concimazione
- Diserbo
- Difesa
- Irrigazione
- Raccolta
- Macinatura
- Farina
- Utilizzazioni
Criteri adottati per il mantenimento della varietà in purezza
Come individuato nel disciplinare di custodia, il processo di conservazione dinamico del materiale genetico può avvenire solo identificando un agricoltore custode per il processo di moltiplicazione della varietà tradizionale di mais, in grado di assicurare l’isolamento da contaminazione da altre varietà di mais, con l’assistenza del CREA Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo, struttura presso la quale rimane sempre la conservazione e moltiplicazione in purezza, del nucleo di fondazione dello Scagliolo di Carenno VA 1210.
Il mantenimento delle sementi da conservazione della popolazione selezionata, potrà avvenire anche nelle zone di montagna, in aree con adeguate caratteristiche pedologiche e climatiche.
Questo processo di conservazione prevede anche l’isolamento da contaminazione da altre varietà di mais (ad esempio i campi devono essere ad almeno 200 metri di distanza per non incorrere in ibridazioni del polline in fase di fioritura), oppure sapendo anche distinguere problematiche fitosanitarie, o selezionando a fine stagione le pannocchie e la granella più adatta al mantenimento delle linea varietale.
Conclusioni
Il presente progetto rappresenta un’opportunità di arricchimento di un percorso iniziato negli anni scorsi, con la prima indagine sulla coltivazione del mais locale intrapresa dall’associazione agricoltori Val San Martino.
Le esperienze ed i contatti acquisiti nel tempo hanno dato modo di individuare non solo le indicazioni storiche delle varietà locali ma anche la loro concreta reperibilità attraverso selezionatori o ricercatori che in passato hanno effettuato analoghe esperienze. In particolare, per le semine recenti, sono state individuate e reperite delle piccole quantità di seme autoctono presso il CREA Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo. Il primo lotto riproduttivo ha rappresentato la base per l’analisi della coltivazione in rapporto dinamico (evolutivo) con l'agroecosistema, adottando una strategia complementare fra la caratterizzazione morfologica e agronomica, e le informazioni e i feed back ottenute dagli agricoltori. Poiché il progetto di recupero del patrimonio genetico locale si contestualizza in un percorso di ricerca poliennale, si rende ora necessaria l’avvio della procedura per l’iscrizione ufficiale della varietà da conservazione mais S cag l io lo di Caren n o VA1210 nel Registro nazionale delle varietà da conservazione, come previsto dalla normativa D.M. 18 aprile 2008 e D.L. n. 149 del 29 ottobre 2009. Il ruolo della Struttura operativa CREA Unità di ricerca per la maiscoltura di Bergamo e della Comunità Montana, rimangono intesi come un supporto alle attività scientifiche e di ricerca da indirizzare a caratterizzazione, omogeneità e miglioramento del mais con riferimento ai caratteri agronomici e alla produttività, e alla valorizzazione territoriale in senso lato.
Il programma generale di lavoro si propone nel futuro di
- favorire la selezione e conservazione in situ della biodiversità legata alla coltivazione della varietà
- conservazione di mais Scagliolo di Carenno VA 1210, cercando di caratterizzare il materiale genetico coltivato dal punto di vista fenotipico che genotipico, quale presupposto alle attività di reintroduzione, recupero e valorizzazione
- promuovere le condizioni e opportunità per la crescita di una rete territoriale di coltivazione e diffusione on farm di dette varietà autoctone
- diffondere le sementi recuperate e creare una rete aziende agricole produttrici di varietà tradizionali di mais per la produzione di farina per polenta, pane e altri prodotti tipici
Attualmente è stata avanzata la proposta di iscrizione al registro delle varietà di conservazione.